Italiani bella gente: in risposta allo Scorfano


Lo ammetto: l’anno passato condivisi ben pochi momenti con i miei adorati connazionali. Non che sia un tipo particolarmente snob o scostante, ma mi sembrava che dedicando (troppo) tempo ad intessere relazioni con italiani avrei clamorosamente sciupato la grande occasione di integrazione che l’anno di studi in Spagna mi stava offrendo. In verità, troppo fresco era anche il ricordo di studenti stranieri conosciuti durante il periodo universitario che, dopo un anno in Italia, ancora balbettavano la lingua e guardavano al nostro Paese con un’aria da turisti stralunati, proprio per non aver approfondito a dovere la parte interculturale del loro soggiorno di studi: “Mi piace molto FirenzA“, “Bella Venezia, ho mangiato un’amatriciana buonissima a Piazza San Marco!” ed altre assurdità del genere ben rappresentavano il livello della loro esperienza culturale in Italia. Ma, se guardiamo più a fondo, v’era qualcosa di più sensato e personale alla base del mio fare: studiare da tre anni a Ferrara, infatti, mi aveva da tempo schiuso le porte al variegato tessuto studentesco in salsa “tricolore” che è, ad un tempo, la forza e la speranza di questa cittadina della Bassa Padania, dove ancor’oggi mi ritrovo a vivere.

Calabresi, friulani, piemontesi, lucani… insomma, Ferrara è davvero un tripudio di italianità e uno spot magnifico di unità nazionale, che mi aveva permesso, tanto per dirne qualcuna, di sorseggiare allegramente prosecchi autentici in compagnia di amici trevigiani doc o di padroneggiare perfettamente l’accento – e i fondamenti del dialetto – salentino.  Capirete perciò da voi che, una volta approdato in Spagna, non sentissi affatto l’esigenza di far “copincolla” d’un copione già abbondantemente recitato in Italia e del quale, forse, m’ero anche un po’ stufato.

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Non sarà un’Avventura – parte 1


Vale la pena chiarire subito una cosa, prima d’iniziare: non è una questione legata all’Erasmus, né un’infatuazione… di prima gioventù. È proprio che a Sevilla io ci vivo bene, estoy a gusto – mi suggerirebbero, ammiccanti, gli amici spagnoli se fossero qui ora. Nulla di nuovo sotto il sole, penserete. D’altronde, quest’estate, in tempi non sospetti, già facevo di simili affermazioni; ma, capirete, ero appena rientrato da 10 mesi consecutivi in Spagna e in tanti a cui raccontavo di questa splendida terra e della sua gente meravigliosa, legavano istintivamente questi miei “rosei” pensieri a presunti ricordi di interminabili feste, riti orgiastici e simili baracconate lasciate ormai per sempre nella capital. Che la loro costruzione non stesse in piedi io lo sapevo già… ma ora ne ho addirittura le prove!

Tornare a Siviglia, per me che ne avevo conosciuto gli angoli più nascosti ed assaporato gli aromi (e le tapas!) più dolci, ha infatti un sapore molto vicino a quello di un rientro a casa. Continua a leggere

Tutti a scuola di andalú ovvero “Per non rimanere fuori dal coro”


Se una cosa c’è del mio Erasmus di cui sono fermamente convinto è che, senza mezzi termini, ho azzeccato meta  e soprattutto lingua-ponte. La Spagna, infatti, oltre a presentare qualche buono (e personalissimo) spunto di formazione professionale di cui magari parleremo in un’altra occasione, presenta un apprezzabile aspetto linguistico: l’idioma appare facile, musicale e intuitivo – per un latino, beninteso. E aggiungiamoci pure che la conoscenza del castigliano apre non solo al mercato del lavoro iberico (che attualmente, mi si dirà, non è il massimo della sicurezza per un giovane), ma anche a quello sudamericano. E che magari gli ispanofoni sono circa 330 milioni in tutto il mondo. Orbene, señores, il piatto è completo per rendere, se volete, ancora più appetitosa la scelta.

E questo, in realtà, è un pensiero comune ad una buona parte dell’alumnado italiano (perdonerete lo spagnolismo) in partenza per l’Erasmus, che decide per mete pittoresche del sud della Spagna come Córdoba, Sevilla o Granada proprio perché condivide quanto detto sull’aspetto linguistico. Almeno fintanto che non fa i primi conti con l’andaluso.

Sì. Perché el andalú è una sfumatura del castigliano sporca e distorta più del blues di Chicago, che suppone un gioco tra lingua e palato che quasi incolla la prima al secondo, storcendo e trasformando di sana pianta – e senza troppo rigor di logica – circa una parola ogni tre. Frasi d’una semplicità piuttosto elementare, come “Para que la salsa carbonara quede más gustosa, tienes que ponerle más huevos batidos”, si trasformano in scioglilingua sincopati e incomprensibili, zeppi di suoni iperconsonantici e di vocali tremendamente cantilenate: “Pá que la sarsa carvonara quede má guzzosa, tiene’ que ponerle má huevo’ batío“. Intenderete bene che, a tal punto, espressioni del genere non hanno il solo effetto di rimbecillire lo studente italiano – magari appena giunto nella capital e con minima infarinatura di castigliano alle spalle -, ma addirittura qualsiasi straniero, relegandolo ai margini del coro, quasi fosse un musicista fuori tempo. Perciò, le soluzioni sono due: o non capire i nativi o ragionare come loro. Continua a leggere

A volte ritornano… dall’Erasmus!


Sono fermamente contrario ai “ritorni”: nel migliore dei casi fanno rima con disagi. Talvolta addirittura con delusioni e traumi. E questo a maggior ragione se il ritorno in questione implica l’esser catapultato, senza soluzione di continuità, dall’amena atmosfera Erasmus di Siviglia alla mia amata-odiata Ferrara – peraltro, si badi, dopo 5 mesi di Erasmus no-stop, o se preferite di vita all’estero all-inclusive.

Eppure, parrà strano, ma questo particolare ritorno si colloca al di fuori di tale filone di pensiero. O meglio, se prescindiamo dalle fantozziane condizioni climatiche che, io – malcapitato! – becco lungo il tragitto Bologna-Ferrara, la cara località estense quasi m’appare la miglior città possibile da dove ricominciare una volta che la giostra Erasmus si sarà fermata: la tranquillità e l’otium senecano che s’incontrano all’ombra del Castello o nella deserta Piazza Ariostea sono un toccasana per il tipico studente rientrante da un anno di studi all’estero. Pare incredibile, ma è proprio come se la vena ottimistica dell’Erasmus – e naturalmente della capital – mi abbia accompagnato anche qui, permettendomi di mantenere la calma anche in circostanze che, in altri contesti e occasioni, m’avrebbero sicuramente mandato in bestia (vedi gli astrali ritardi di treni, aerei e servizi di trasporto di varia taglia o misura e il volume degli scontrini che baristi e ristoratori mi presentano per tutta la settimana in cui mi fermo in Padania). Se poi, accendendo il televisore, scopro che il nuovo personaggio del momento – colui, cioè, che colma il vuoto mediatico lasciato negli spazi televisivi dai deposti Berlusconi, Bondi, Bossi & Co. – è nientemeno che il “Molleggiato”… beh, comincio veramente a pensare che ora è il momento utile per ritornare in Italia, e magari avviare una rivoluzione sociale in stile cubano.

D’altronde, il primo semestre di università, qui in Spagna, s’è concluso, e ora – vi dirò – Siviglia è quasi più ferrarese della stessa località estense: la stessa sonnolenza che pervade da secoli la terra della salamina da sugo pare attraversare tutte le cervecerías del centro, i corridoi delle facoltà e i parchi cittadini della capital; ma una ragione c’è. Il centro del mondo, questa settimana, si è spostato più a sud di un centinaio di chilometri: siamo in tempo di Carnevale dopotutto, e che cosa c’è di meglio che presentarsi al grande (e sentitissimo) evento della Quaresima, che tanto famosa ha reso Siviglia nel mondo, con un’ultima – definitiva – notte di follia, magari approfittando del clima favorevole per prendere il primo sole dell’anno sulle spiagge dell’Oceano?

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Per il ciclo “Vacanze di Natale”…


Il consiglio di abbandonare Splinder e trasmigrare, quindi, su piattaforme più fighe, ricettive e degne della mia penna, m’era giunto già da tempo. E, non ve lo nascondo, ultimamente quasi suonava come un inquietante avvertimento mafioso: “Che devi fare su Splinder? Prima o poi vedrai che sparisce o lo chiudono…”.
Però io non ho mai ceduto: in primis, perché ci ho la testa dura. Poi soprattutto non avevo né voglia né tempo di rifar da capo il blog; infine, era arrivato il Natale e, con un pugno di fedelissimi alla causa Erasmus, s’era deciso di rimanere a Siviglia. Certo, suona molto “Christian De Sica”, ma è una roba seria: quando ci sarebbe ricapitato di poterlo fare? Quando più – con la stessa spensierata gaiezza (e non fate battute, voialtri dal dietro le quinte) – avremmo potuto entrare in quel natalizio Paese di Balocchi che è la Navidad spagnola? Ecco, lo sapete anche voi: mai più. Continua a leggere